Per alcuni anni, complice Nino Lavermicocca, avevamo appuntamenti frequenti con l’ing.Giuseppe Cesareo , Direttore della Bari- Nord.
L’appuntamento era nei pressi della stazione, vicino al portoncino che porta alla sede della Bari Nord. Vi dirò: ho sempre amato le stazioni di tutto il mondo. Le ho amato e le amo anche adesso che sono tanto avanti negli anni…
Quand’eravamo ragazzi il nostro punto di riferimento era la Stazione centrale. Era il sognato punto di partenza per viaggi lontani. Quei viaggi che non potevamo fare ed allora sostavamo a lungo nelle sale d’aspetto fra i viaggiatori in attesa e quelli che sbarcavano dai treni che venivano da lontano.
Anche quando, per lunghi, anni facevo l’inviato speciale dei giornali, nei momenti in cui non avevo niente da fare andavo a vedere le stazioni. I miei nonni, ai tempi in cui viaggiavano, avevano un punto di riferimento nelle loro scorribande: i cimiteri monumentali. Io, le stazioni. Ho conosciuto così le stazioni di Londra, di Healing Broadway, quella di Praga con la grande scritta 1918 a ricordo della fondazione della Repubblica di Cecoslovacchia. Che dire poi della monumentale milanese che raccoglieva i sogni miei e quelli di tutta la mia famiglia, a Milano emigrata negli anni Trenta. Nel Granducato del Lussemburgo la stazione era a forma di chiesa e a Francoforte e a Berlino i treni viaggiavano sui ponti, sotto terra, poco mancassero che volassero in cielo…
Andare dall’ing. Cesareo era un momento di ricordo dei tempi passati, anche se con lui parlavamo di un libro da scrivere sulle Ferrovie Bari- Nord. L’ingegnere aveva un aspetto severo, il capo tutto rasato ma presto il suo sguardo s’addolciva quando Nino ed io gli parlavamo dei nostri ricordi sulla Bari- Barletta, sui vecchi capostazioni di quella che una volta era la “ciclatera” che correva sicura anche sulle strade nazionali. L’ingegnere ascoltava le nostre fantasie; ma, fra una telefonata e l’altra, fra la segretaria e un funzionario che irrompevano nella stanza a ricordargli questo o quell’impegno, parlava dei problemi ferroviari, dei suoi viaggi all’estero, dell’impostazione che voleva dare al libro. Ed era un ‘impostazione tutta fatti, iniziative concrete, responsabilità di un mondo di comunicazioni importantissimo nell’area meridionale ma anche in quella nazionale.
Diceva queste cose con la sua voce pacata, serena, con grande competenza sui fatti e sulle enunciazioni. Ricordo che quando parlammo della” civiltà della comunicazione” ebbe un’espressione intensa, a significare che tutto il lavoro ferroviario era da collocarsi in quel gran concetto di civiltà. Insomma, era bello andare in quell’ufficio della Bari-Nord, parlare vedere fotografie di vecchi convogli, sentire i fischi delle locomotive, accorgersi che da quel palazzo si dominava su tutti i fasci binari che s’irradiano per il nord e per il sud.. L’ultima volta che lo incontrai, sempre con Nino, fu lo scorso settembre.Era una giornata mite, sapeva di fresco autunno e non lasciava prevedere l’inverno che si avvicinava. L’ingegnere ad un certo punto si lasciò andare a parlare d’alberi, di piante, di fiori della sua casa sulle Murge, mi pare in quel di Monopoli. Disse all’improvviso che aveva notato delle piccole foglie che crescevano su quegli alberi, parlò con tenerezza della dolcezza di una natura che sentiva lo circondava ma della quale forse era la prima volta che ne parlava, almeno con noi che dovevamo scrivere quel libro sulle Ferrovia Bari- Nord. Poi non lo vidi più. All’improvviso era arrivato per lui il lungo viaggio per Itaca lontana. Un viaggio senza ritorno, salvo per coloro che hanno fede nel Cristo risorto. Quando prendo un treno alla Stazione centrale vedo sempre il portoncino dell’ufficio del nostro ingegnere, mio e di Nino. Mi pare che da un momento all’altro dobbiamo tornare ancora a parlare, di libri e di treni, di alberi in fiore…