Nel 1964 non ero più residente a Matera. Ero tornato a Bari, nella mia città, ma nel capoluogo lucano avevo parenti ed amici e compari e i rapporti erano così affettuosi che continuavo a vivere sospeso fra le due località. Ogni occasione era buona per una
capatina fra i Sassi o giù, al nuovo villaggio della Martella, o su, verso la ridente collina di Timmari. Ero naturalmente attento ai fatti e agli avvenimenti e ai personaggi che popolavano la bella città lucana; e attentissimo quando all’orizzonte si profilavano eventi eccezionali. Figuratevi l’interesse- interesse culturale, si capisce- quando, nell’aprile di quell’anno, giunse a Matera Pier Paolo Pasolini con tutto il suo caravanserraglio per girare “ Il Vangelo secondo Matteo”. Ed era un caravanserraglio di gran nobiltà: c’era la madre, gentile e un po’ distaccata, forse intimidita perché il figlio le affidava la parte della Madonna. E c’era Enzo Siciliano, allora giovanissimo, e il poeta Alfonso Gatto, un po’ pesante nella sua andatura, lo sguardo stralunato e meravigliato nel trovarsi in un paesaggio diverso, il polemico Francesco Nicoletti, l’acuta Natalia Ginzuburg, il nipote della scrittrice Elsa Morante, il poeta Rodolfo Wilcock, il critico musicale napoletano Ferruccio Nuzzo, il famoso Tonino Delli Colli per le riprese cinematografiche. Un parterre di tutto rispetto ma che pure era guardato con un certo…sospetto da parte della cittadinanza maaterana. Erano, tutti questi illustri artisti, uomini di sinistra, comunisti addirittura; e allora i comunisti erano spesso scomunicati dalla Chiesa anche se al Comune e alla Provincia erano le sinistre a guidare le sorti del Materano. E poi, e poi quel Pasolini ateo che, in una cella monastica d’Assisi, s’era trovato al capezzale il Vangelo e l’aveva letto tutto di seguito, dopo vent’anni, come un romanzo. E nell’esaltazione della lettura gli era venuta l’idea di farne un film. Dio, diceva un prete che conoscevo e che pure era un sacerdote di grand’apertura culturale, Dio benedetto in che mani è capitato il nostro buon Gesù.
La comitiva spesso si spostava a Bari, Pasolini aveva scritto già il suo “ Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare” e aveva conosciuto, e consultato a suo tempo per il saggio, don Tommaso e Vittore Fiore. Incontri a cena, allora, al “ Marcaurelio”. A tavola sedevo anch’io con tutti quegli intellettuali destinati a diventare, nel film, Apostoli pieni di fede accanto allo spagnolo Enrique Irazoqui che, secondo Pasolini, esprimeva la forza, la decisione, il volto di Gesù come l’avevano visto i pittori medievali dal nome di Masolino, Melozzi da Forlì, Giotto, Carpaccio, El Greco, i manieristi del 1600. Pasolini, per la cronaca, prima di Matera era andato in Israele e in Giordania per trovare i luoghi della Passione; ma in quelle terre tutto si era trasformato. Trovò la sua Gerusalemme a Matera e girò alcune scene anche a Castel del Monte, a Barile, nel Crotonese per proporre Betlemme; e a Tivoli per l’orto del Getsemani.
Al “ Marcaurelio”, durante la cena con Gesù, la Madonna, i Discepoli e Pier Paolo Pasolini, la cara Brunetta, l’indimenticabile moglie di Vittore Fiore, solitamente acuta e spesso pungente conversatrice, non disse parola. Alla fine, quando la cena fu consumata, e la comitiva risalì in macchina per tornare a Matera, Brunetta fissò il marito e gli disse tagliente: “ Troppo ti fissava il Pier Paolo, troppo”.
Quattro mesi durarono i mesi della lavorazione del film. Avevo notizie, commenti e curiosità dai miei amici, parenti e compari materani, alcuni dei quali erano apparsi – in varie parti- nel filmato. Furono chiamati anche il mio sarto, un brav’uomo, veniva a prendere le misure dei vestiti direttamente in casa e non pretendeva – come fanno i sarti di tutto il mondo- grosse cifre. Soltanto che non aveva la mano felice nel taglio. Una volta mi aveva fatto un cappotto così largo ma tanto largo che, da magro quale sono, sembravo Carnera in persona. Fu scritturato anche il robusto guardiano notturno della Banca d’Italia. Mi aspettava ogni giorno sul portone di casa perché assumessi, nell’azienda che dirigevo, il figlio.
Brava gente, in sostanza, anche se ero costretto a scansarli perché l’uno mi voleva confezionare sempre un cappotto o un vestito e l’altro voleva l’assunzione del figlio.
Quando vidi il film all’improvviso mi apparvero il sarto e il guardiano della banca d’Italia: erano i Re Magi Melchiorre e Baldassarre. E portavano i loro doni al Bambino nato nella mangiatoia con tanto amore, tanta dignità, che da quel momento non scorsi più in loro l’umile modestia ma la regale Maestà dei Magi evangelici.
Il film fu presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, e il regista fu accolto da fischi e da ingiurie. Alla fine della proiezione, tutto il pubblico, commosso, applaudiva. L’opera era dedicata alla “cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII “.