Nel 1882 venne in Basilicata, passando naturalmente per Bari, il poeta Giovanni Pascoli. Non era ancora il grande vate della nuova Italia, ma solo un giovane docente alla ricerca di un posto fisso. Il posto fisso l’ottenne a Matera in qualità di reggente di lettere greche e latine nel locale Liceo. La Basilicata era lontana, lontanissima; ma il Pascoli, che aveva bisogno di uno stipendio anche per mantenere le sorelle , se ne scese nel Sud con una grande malinconia e con un cuore da pellegrino. Gli calzava bene la poesia appena scritta: “ Narran le pie leggende/ che ogni uomo è un pellegrino…/Al pellegrin vogliate,/ angioli, un po’ di ben…” Giosuè Carducci, il grande poeta e suo maestro, non gradì che il suo allievo venisse, sono sue parole “…nella merdosa Matera”. Giovanni Pascoli lasciò le sue sorelle, prese il treno in partenza da Bologna- erano i primi di ottobre 1882- e giunse a Bari per poi proseguire per Matera. Arrivò a Bari di primo mattino e scrisse a un suo amico dicendo di aver visto, o immaginato di aver visto dal treno, “ …la valle di Mattinata dominata dal monte Matino, o Saraceno, dove si precipitò Ettore Fieramosca”.
Pascoli dunque conosceva la leggenda popolare pugliese sul popolare eroe della Disfida di Barletta che, disperato per la morte della sua bella Ginevra, raggiunse il Gargano e ,da una rupe altissima di Mattinata, si precipitò nel bel mare che lo accolse fra le sue onde spumeggianti..
Anni dopo così descrisse il suo arrivo nel capoluogo pugliese: ” Bari…quanti anni sono! Ero biondo allora, e magro, e andavo a Matera, così a me cara, sebbene aspra e povera. E Bari mi sorrideva col suo mare azzurro prima che salissi e mi perdessi nei monti brulli. E mi faceva coraggio e mi diceva: Va, ascendi, su,su,su…”
Da Bari, il poeta prese una diligenza diretta a Matera.
La prima tappa del viaggio fu Grumo Appula che il poeta vide come un “ villaggio fangoso”. C’è da supporre che , in questa prima tappa, oltre 20 chilometri, ci fu il primo cambio dei cavalli. Giovanni Pascoli annotò che il suo viaggio verso Matera si svolse con “ il molto traballar di vettura, attraverso luoghi sinistramente belli”, intravisti di notte “ per vie selvagge”. E anche molti anni dopo così ricordava quel viaggio: “ Io ascesi una notte tra foreste paurose al lume della luna, cullato dalla carrozza, dalle dolci e monotone canzoni del postiglione. E’ una visione poetica che m’è sempre nell’anima, negli orecchi. Vorrei poterla fissare in versi. “.
Poi visse lunghi mesi a Matera e come passarono quei giorni basilischi lo apprendiamo dalle sue lettere. Ecco così che da una delle sue prime lettere apprendiamo :”…in generale sto bene a Matera. Son già cominciate le scuole. Il tran tran procede allegramente. Sol d’una cosa mi lagno: qui è troppo caro il vivere e l’alloggio, e tira quasi sempre scirocco, dimodoché io non posso fare economia , e non posso procurarmi con lavori straordinari qualche lavoro straordinario, perché quando tira scirocco il cervello dorme della grossa”.
Povero Zvanì Pascoli, destinato a divenire uno dei grandi esponenti della nostra letteratura: a Matera spira lo scirocco, e lui non ha la forza di dare qualche lezione privata o anche d’inviare qualche composizione lirica a giornali e ad editori. Almeno così par d’intendere il lavoro straordinario cui allude. A questo disagio è da aggiungere che nei primi tempi del suo arrivo in Basilicata non gli fu subito pagato lo stipendio . Ha tempo e voglia di scherzare però, sempre per via di epistole, con le sue lontane sorelle. In una lettera si legge che avverte di sentire un topo che rosica- ah, la sua casa posta in un umido sottoscala- non sa che cosa. Chiede allora che, per pacco postale, le care sorelline gli inviino un gatto.
Sì, i poeti non si privano, anche quando litterae non dant panem, del loro sognante umorismo. E’ interessante notare come, nelle sue missive, il Pascoli parli delle tempeste e del freddo e , in generale, del clima della zona. Dice ancora che “ qui tira scirocco, vento uggioso, molliccio e appiccicaticcio, ma caldo. Neve non s’è vista. Nebbia e pioggia, sì. Poca pioggia e molto nebbiume” ; e intanto, ragioni climatiche a parte, è attento alle produzioni locali per vedere se ci sia qualcosa da mandare ai suoi nella Romagna lontana. Scopre così che da quelle parti non ci sono arance, o cose del genere, per inviarle ai parenti lontani. Viene a conoscenza però che, nelle masserie materane, è prodotto un buon formaggio “giallo, tondo e grosso”: il provolone. A lui, quel formaggio, non piace; gli viene voglia però di farlo gustare a una buona zia lontana. L’occasione d’inviare un pacco con quel prodotto caseario, gli consentirà anche d’inviare dei regalini alle sue amate sorelle. Partì poi quel pacco con il giallo provolone da Matera verso la Romagna?