Quando il 24 maggio1915 l’Italia dichiarò guerra all’Impero austro-ungarico, una folla enorme si raccolse in piazza Roma. Narrano le cronache giornalistiche dell’epoca che il corteo formatosi” capitanato dal Sindaco Bottalico, dagli Assessori, dal prefetto Angelo Pesce percorse le vie della città acclamando al Re, al Presidente dei Ministri, all’Esercito”.
In molte chiese fu cantato il “Te Deum”e gli studenti disertarono le aule e, narrano sempre le cronache “…recatisi in piazza Umberto dove aveva sede il Consolato austriaco ne abbatterono lo stemma e lo portarono in trionfo per le vie della città “.
Partivano intanto dalla stazione in lunghi convogli i soldati destinati al fronte. I binari centrali della stazione erano coperti da una grande tunnel che coprivano treni e passeggeri come in un’immensa e scura navata laica. Sotto quella navata dame offrivano ai militari pacchetti di sigarette, scatole di confetti e di cioccolatini e mazzi di fiori. Intanto povere madri baciavano i loro figli giovanissimi che partivano per la guerra e accanto a loro c’erano anche sacerdoti che offrivano i santini e le medaglie benedette.
C’era però la grande paura di bombardamenti dall’aria . Le forze in campo già possedevano piccoli, rudimentali aerei ma egualmente pericolosi e in grado di raggiungere anche grandi distanze. Pattuglioni di liberi cittadini così, insieme con i militi della Benemerita e guardie di Pubblica Sicurezza perlustravano di notte le vie principali e multavano quei cittadini che non ottemperavano agli ordini prefettizi di tenere oscure le finestre. Sui palazzi più alti , anzi sulle terrazze di quei palazzi venivano apprestate batterie di fucilieri che dovevano aprire il fuoco qualora gli aerei austriaci fossero apparsi sulla città.
Facevano servizi anche di notte e mia nonna raccontava che, nelle notti scure,si sentiva all’improvviso una voce di soldato che gridava:” All’erta sentinella!”. E da una terrazza vicina,di lì a poco, rispondeva un altro : “ All’erta sto”.
Erano i segnali ordinati dai capoposto per tenere sveglie le truppe ammassate in difesa sulla terrazze della nostra città.
Grandi manifesti erano intanto apparsi per le strade: «Sorvegliate, denunciate senza riguardi di sorta le spie nostrane e straniere». I giornali annunciano che, in quei giorni, a Caporetto, è stato fucilato il parroco. Era una spia. A Parma, proveniente da Bari, è stato arrestato un cittadino tedesco, Ernesto Kanka, di anni 37. Parlava germanico sul treno italiano. Ci sono, dunque, spie a Bari? Il 31 maggio 1915, alle 4,45 del mattino, appare sulla città un piccolo aereo. E’ un biplano, viene dal mare, e si dirige verso il centro cittadino a 1500 metri d’altezza.Si notano il pilota e il meccanico, e i pescatori sulla costa guardano l’equipaggio che ai loro occhi sembra italiano.
L’aereo è invece austriaco, punta sulla stazione centrale e lancia una bomba nei pressi del palazzo dell’on.Vito Nicola Di Tullio. Un ragazzo che dormiva sul marciapiede è preso in pieno. Si chiamava Michele Ranieri di Giuseppe, di anni 14. In quei tempi, molti poveracci dormivano a ridosso dei portoni. Gli osservatori della Marina Militare danno intanto, dalla terrazza della Camera di Commercio, l’allarme e i ciclisti si sguinzagliano per la città segnalando il pericolo.
L’aereo punta su via Crisanzio. All’altezza del numero civico 116, lancia un’altra bomba che ammazza questa volta un cavallo, ferisce un uomo, Vito Foggetti di Donato, e danneggia attrezzi agricoli.Una terza bomba è lanciata sul Picone, poi il biplano punta certamente sul Palazzo del Governo. Lo sorvola a 500 metri d’altezza, non sgancia bombe e prosegue verso la stazione radio di San Cataldo. A questo punto torna sul mare e s’allontana, indisturbato, verso Molfetta.
Grande è ora il panico nella città svegliata dagli scoppi. Una giovane signora, in veste da camera, urla da un balcone di via Imbriani e fa segni verso un palazzo vicino: grida di aver visto segnali partire da una finestra. L’aereo, dunque, contava su spie baresi che, dalle finestre cittadine, facevano misteriose segnalazioni? I manifesti, di color rosa, sui cantoni delle strade avvertivano con molta decisione: “ Sorvegliate, denunciate senza riguardi di sorta le spie nostrane e straniere”.
Bari, le ristrettezze belliche e la città bombardata
Lo scoppio delle ostilità provocarono la chiusura di molti stabilimenti industriali. Alcuni di essi furono però adibiti alla produzione del materiale bellico o alle confezioni di farina, di pasta, di scarpe per i combattenti. La chiusura degli opifici aumentò il tasso di disoccupazione . Fra l’altra molte fabbriche chiusero i battenti, il piccolo commercio languì e la marina mercantile cessò quasi del tutto la sua attività. Nei porti marcivano bastimenti e trabaccoli che, per il divieto del commercio marittimo, rimasero all’ ancora per molti anni. I pescatori, un ceto molto diffuso in quel di Bari, furono drammaticamente colpiti: vendettero ai governi italiano e inglese tutte le barche e le paranze per adibirle a sbarrare i porti contro le eventuali insidie nemiche.
Si mobilitò naturalmente la Croce Rossa che meritò l’attenzione della giornalista Wanda Gorjux che in un articolo apparso su “ Il giornale d’Italia” lodò l’amor di patria e lo spirito di abnegazione delle donne baresi.
Le navi ospedaliere intanto cominciavano a sbarcare a Bari e a Gallipoli Gallipoli e feriti per gli ospedali regionali che erano stati attivati in 18 con la possibilità di 6000 letti.
Quando finì la guerra si fecero i conti dei morti e dei dispersi, Bari ne contò 1065.
L’albo, compilato dal capo sezione del Comune barese Giacomo Pondrelli, contò 498 morti in combattimento o per ferite,173 dispersi, 394 morti per malattie e 42 morti per ferite provocate dai bombardamenti aerei.
Bari subì bombardamenti dal cielo il I giugno 1915, il 17 luglio e l’11 agosto 1915. Altri bombardamenti ci furono il 27 luglio 1916, il 25 febbraio e l’11 aprile del 1917, In quest’ultimo raid furono lanciate quattro bombe, delle quali due caddero in mare e le altre in Piazza Garibaldi e in via Trevisani. Provocarono quattro morti, due donne, un vecchio e un bambino. I feriti furono otto.
Quando giunse la notizia della cessazioni delle ostilità- il famoso armistizio del 4 novembre 1918- furono i teatri ad iniziare le dimostrazioni di gioia.
Al Petruzzelli, l’orchestra fermò il pezzo che stava suonando ed intonò la “ Marcia reale “, l’inno ufficiale del regno d’Italia. Poi apparve sul palcoscenico il m° Larotella e lesse il famoso bollettino della Vittoria firmato dal generalissimo Armando Diaz. Analoghe cerimonie nei cine-teatri Margherita e Trianon. La folla intanto uscì dai teatri e si unì ai dimostranti che si dirigevano verso la Prefettura. Alle finestre del vicino palazzo Diana c’erano gli ufficiali e le rappresentanti femminili della Croce Rossa Americana. Grandi applausi ed entusiasmo verso gli esponenti del popolo amico. In Cattedrale il canto di ringraziamento fu intonato dall’arcivescovo di Bari mons. Giulio Vaccaro mentre nella Basilica di san Nicola intonò il “ Te Deum” mons. Francesco Nitti. Canti di ringraziamento a Dio per la fine di quella che un Pontefice aveva definito una inutile strage.
Il “ Monumento ossario degli eroi” eretto in Bari
Nei primi anni del 1920 fu eretto nel Cimitero barese il “ Monumento ossario degli eroi” per accogliere i caduti della grande guerra. L’opera fu commissionata al giovane architetto barese Saverio Dioguardi, nativo per la verità di un piccolo paese del Barese. L’artista volle comporlo “ con un carattere eminentemente architettonico in modo che l’aspetto semplice, solenne, ed austero ricordasse la severa e grandiosa figura dei nostri eroi”.
Il Monumento si compone di due parti distinte: la parte bassa che s’interra per due metri e mezzo di profondità e costituisce l’Ossario con i loculi contenenti i resi mortali dei caduti.Ogni loculo è chiuso da una lastra di marmo che porta incisi il cognome, il nome, il grado, la data della morte del glorioso caduto. La serie dei mesti depositi è interrotta da due grandi targhe in marmo: in una è scolpito il Proclama con cui Vittorio Emanuele III dichiarò la guerra; la seconda il Bollettino della Vittoria sottoscritto da Armando Diaz.
La seconda parte, quella alta, presenta un’intuizione di un arco che Dioguardi volle con la scritta in alto:” Vivono e vivranno” . Si accede all’arco a mezzo di un’ampia scalinata che consente l’accesso ad un’ara per la celebrazione dei riti religiosi. Saverio Dioguardi volle anche sulle pilastrate due bronzei tripodi sorretti da due maestose aquile fuse in bronzo.
I resti di caduti furono trasportati,dai luoghi dov’erano sepolti, all’Ossario con lunghi, commoventi viaggi.
Tali viaggi furono ben dieci e si svolsero il 24 aprile e poi- sempre nello stesso anno- il 18 maggio, l’11 settembre, il 4 ottobre e il 19 dicembre. L’ultimo carico arrivò il 24 maggio 1925 e si raggiunse così il numero di 3000, quanti erano appunto i caduti della Terra di Bari. I loculi di coloro che erano risultati dispersi rimasero vuoti, con la sola indicazione del nome, del cognome, del grado, del luogo dov’era con la presumibile data della dispersione. Dietro il Monumento fu riservata una zona di tre metri di larghezza, destinata all’inumazione dei genitori e delle vedove non rimaritate degli Eroi ornati nella loro terra.
L’Ossario fu inaugurato il 19 gennaio 1924 da Vittorio Emanuele III, re d’Italia. Il monarca, raccontano i giornali dell’epoca, percorse il grande viale che porta all’Ossario tra fitte ali di mutilati e di drappelli armati del X Fanteria. Nel corso della cerimonia la “ della Basilica di san Nicola diretta dal maestro don Cesare Franco”. Dopo i solenni canti, il Re raggiunse il palco reale seguito da S.E.Montanari, da S.E. Simonetti, dal Prefetto De Vita e dal regio Commissario De Fabritiis. Pronunciò il discorso di circostanza il prof. Francesco Nitti, Presidente dell’Associazione fra i congiunti dei morti i guerra e ideatore dell’opera di pietà.
Concluse il suo discorso dicendo che il Re, dopo 24 anni di ascesa al trono“…aveva scritto, re e soldato, la più bella pagina della storia d’Italia”. Seguì un lungo silenzio, Vittorio Emanuele apparve assorto in un profondo raccoglimento. La fanfara del X Fanteria intonò la “ Canzone del Piave”.
Raggiunsero quindi il palco il Delegato regionale dell’Opera Mutilati, capiano Losa, il Presidente della Sezione di Bari Emanuele Panza ( aveva riportato l’amputazione di una gamba in guerra una gamba ed era impiegato nel magazzino di tessili Lamacchia, in via Sparano),il cieco di guerra Michele Ragone. Monsignor Del Buono benedisse poi l’opera mentre il coro intonava, fra le lacrime dei parenti e dei reduci di guerra, il “ Libera me, Domine”.